Un trend è quella cosa che, se hai la sventura di frequentare i social, ti gira davanti in tutte le salse finché non urli MA BASTA, o finché non ne arriva uno nuovo. Il 30 di aprile corrente anno, il trend che il mio stanco algoritmo mi ha proposto fino a nausearmi era "it's gonna be May", che sarebbe - attenzione - la canzone "It's gonna be me" della band NSYNC, cantata però da Justin Timberlake con una pronuncia tale da modificare Me in May. Sarebbe, e qui finisce il giro tortuoso del trend, la canzone che viene in mente a tutti i millennial allo scadere del mese di aprile perché, beh, "sarà maggio"a brevissimo.
Io sono anziana, perciò il primo maggio di solito mi viene in mente Umberto Tozzi.

Un parere non richiesto sull’AI
Prima di mettermi a scrivere questa filippica - che covo con rancore da mesi - sull'AI, mi sono trattenuta per un po' e, no, non perché il mio sia un pensiero particolarmente scomodo o perché il mio parere conti qualcosa in questo ambito, ma perché veramente penso non esista qualcosa che mi annoi più dell'intelligenza artificiale. Anzi, no: c'è una cosa che mi annoia più dell'AI, e sono i discorsi sull'AI.
Ho iniziato a lavorare come freelance dal 2021, quando ChatGPT ancora non era diffusa - forse non era ancora nemmeno nata? Non lo so e (mi pare di averlo già lasciato intendere) non mi interessa - e, facendo mente locale su come lavoro oggi, a volte mi chiedo come facessi senza.
Il fatto è che la risposta ce l'ho: facevo senza, facevo bene, lavoravo meno di oggi e mi azzardo a dire che guadagnavo uguale. Forse pure di più. Ero più rapida a cercare le fonti, ero più veloce a scrivere, il mio cervello era enormemente più reattivo e motivato: perché dovrebbe esserlo, oggi? A cosa serve essere veloci nel cercare cinque articoli su un tema, fare un riassunto, scrivere un articolo di blog che sia la sintesi dei cinque articoli in venti minuti, quando ChatGPT fa tutto questo in pochissimi secondi? Facendolo anche meglio di molti content specialist e copywriter, se è per quello (non di me, chiaramente, ma io sono bravissima e non conto).
Ma questo paragrafo non è la storia di come il mio e i vostri cervelli si siano impigriti a causa dell'AI: questo paragrafo è la storia di come l'internet sia diventato una fogna di contenuti tutti uguali, tutti banali, tutti rimasticati, tutti - di fatto - inutili. Potete scrivere la vostra richiesta all'AI (piuttosto che avallare l'uso della parola prompt mi faccio esplodere con le tasche imbottite di pagine dello Zingarelli) in tutti i modi possibili, potete provare tutti i modelli di intelligenza artificiali possibili, ma la verità è che l'AI vi restituirà sempre gli stessi concetti democristiani, e sempre con le stesse parole. "Rappresenta" e "cruciale" sono due termini che non riesco più a usare, perché ormai sono il segnale che di lì è passata ChatGPT, per fare un esempio. L'uso di coppie di aggettivi, tipo "semplice e rapido", l'espressione cuore pulsante (mi sto innervosendo) e amenità simili stanno impoverendo i nostri post sui social, le nostre e-mail, i nostri articoli di blog. La cosa assurda è che questi contenuti funzionano, almeno per i clienti: chiedetemi quante volte mi sono state proposte alternative ai miei testi fatte palesemente con ChatGPT e nemmeno rilette. Avanti, chiedetemelo.
Ho trovato dell'ironia, in tutto questo. È successo una mattina, quando ho chiesto a ChatGPT di scrivere un post a partire dalla dichiarazione di un amministratore delegato riguardo non so quale traguardo raggiunto da non so quale azienda. Il virgolettato che mi è stato inviato dall’azienda iniziava così: "Questo traguardo rappresenta". L'amministratore, o il suo stagista, aveva evidentemente chiesto alla sua ChatGPT di scrivere una dichiarazione, che io ho fatto rimasticare alla mia ChatGPT, ricavandone un post che era, infine, un inutile gioco di specchi. Dichiarazioni che non interessano a nessuno, nemmeno a chi le ha - in teoria - pronunciate, finite in un post che non interessa a nessuno, che non modifica la vita a nessuno.
Alcuni testi non cambiano la vita a nessuno, ma noi continuiamo a produrli perché ce li chiedono, perché vanno fatti, perché è così che si fa, mentre fingiamo che questa neolingua fatta di ripetizioni e di concetti banali sia il compromesso migliore. La soluzione più pratica per fare soldi più in fretta, costruendo castelli d'aria (però con il cuore pulsante) sopra il niente.
Poi, oh, per me potete decidere domani mattina di eliminare tutti i copywriter e gli scrittori e far fare tutto a ChatGPT: quando c'è un lavoro da scansare io sono la prima della lista.

Il libro del mese
Tra marzo e aprile sono stata in Giappone e, come da mia onorata tradizione, ho portato con me solo libri legati al paese che stavo visitando. Non voglio ammorbarvi ulteriormente sul libro Autostop con Buddha, su cui trovate una ricca dissertazione qui, ma voglio invece invitarvi a leggere Tokyo Express di Matsumoto Seichō (in Giappone si mette prima il cognome, come sanno gli appassionati di manga).
Se come me amate i gialli, non sopportereste alcuna anticipazione (di nuovo: piuttosto che usare la parola spoiler mi faccio esplodere eccetera), ma devo assolutamente dirvi che trovo lunare il fatto che questo libro si basi sulla precisione dell'orario dei treni in Giappone, sempre rispettato al secondo. Tokyo Express è stato scritto nel 1958, e già allora era possibile costruire un'intera trama su un buco fisso di pochi minuti che si creava tra i binari della affollatissima stazione di Tokyo per via dell'incrocio dei diversi orari dei treni. Pensate alle ferrovie italiane di oggi, pensate al ritardo medio dei nostri treni e piangete con me.

Il vino del mese
Non c'è niente che mi dia più soddisfazione che imbroccare il vino giusto da portare a quel pranzo o a quella cena in cui tutti sono esperti, quella in cui si aprono le grandi etichette.
Mellis in latino significa miele, ed è questo il nome migliore che la famiglia di Enzo Rapalino, enotecnico della cantina La Ganghija di Treiso (siamo a Cuneo), potesse dare al proprio vino prodotto con uve bianche appassite sulla pianta. Il merito della scoperta di questa cantina non è mio, ma del mio amico M.: in ogni caso, Mellis è tornato a casa con me dopo la visita ed è stato poi aperto alla fine di una grigliata tra amici. Dopo essere stato servito nei calici, ha avuto l'onore di essere terminato con una bevuta "a canna", direttamente dalla bottiglia. Tanta era la freschezza e la personalità di questo nettare, profumato di cera d'api, sambuco e fiori notturni.
Come per tutte le cose, a fare la differenza è la cura: Enzo e la moglie Milena passano mesi ad aspettare la surmaturazione delle uve sulla pianta, cercando di salvare buona parte dei grappoli resi dolce dal sole dai corvi, dai cinghiali e da altri esponenti della fauna delle Langhe. Qualche grappolo finisce inevitabilmente perduto, e questo fa di Mellis un frutto ancora più raro**.
La prossima newsletter la faccio fare dall'AI visto che vi lamentate che non scrivo mai, vi avverto.
Ci sentiamo a giugno (seee).
*Comunque ho chiesto a ChatGPT perché pensava fossi un uomo. Mi ha risposto così: "quando hai chiesto un'immagine “di come penso che tu sia”, ho dovuto fare una scelta e ho seguito una delle ipotesi più probabili in base al tono delle tue richieste". Forse fino ad oggi ho fatto humansplaining.
** Nota per il karma: rinascere corvo o cinghiale nelle Langhe potrebbe essere una buona idea.
Per quanto non riesca a non trovare straordinaria, e quasi magica, la tecnologia dietro ai vari LLM, concordo pienamente: le AI stanno amplificando moltissimo l’enshittification dell’internet.
Contenuti sempre più uguali e sempre più vuoti di cui potremmo benissimo fare a meno.
Sull’utilizzo che ne viene fatto poi nel mondo del lavoro, apriti cielo.
Ci sono clienti che chiedono a ChatGpt e poi non si fidano di nessun altro!
E se l'AI fosse molto più profonda di quanto lo si possa essere noi su di noi? Sei mai riuscita a misurare la tua mascolinità?